giovedì 15 luglio 2010

L'importanza della protesta all'Università e la necessità di coinvolgere i precari

Chi scrive è convinto che l'unica via per uscire dalla crisi sia quella di investire in ricerca, in quella che è definita "ricerca di  base", scevra quindi da ogni legame diretto con il mondo dell'industria e volta sopratutto a studiare e cercare di ottenere "qualcosa" che possa apportare un miglioramento, piccolo o grande, all'umanità.  Chi scrive è convinto che compito principale dello Stato dovrebbe essere quello di garantire, attraverso le Università pubbliche e gli enti di ricerca, a prescindere dall'evoluzione dei mercati mondiali, la possibilità di cercare una soluzione a questo o quel problema, sia esso di natura economica, sociale, medica, ingegneristica o agraria.   Rinunciare, di contro, alla ricerca, allo studio, alla cultura, corrisponde al catapultare l'Italia nel terzo mondo, distruggendo di fatto ogni possibilità di garantire alle generazioni future un miglioramento della qualità della vita che provenga dalle menti che vivono ed operano nella nostra Italia.
La protesta dei docenti e ricercatori di ingegneria e di tutta la Federico II è condivisa e condivisibile ma dovrebbe partire da un gradino più in basso, da quella massa informe che costituisce ed unifica figure di diverso livello e contrattualizzazione che è il precariato della ricerca.    
I ricercatori precari ed i loro futuri epigoni (i dottorandi) costituiscono allo stato attuale il fondamento della ricerca e dell'università italiane:  non è sbagliato ammettere che senza i ricercatori precari buona parte dei progetti non andrebbe a buon fine.  Se questo concetto vale solo in parte negli enti di ricerca,  per quanto riguarda le università italiane, se si fermassero i ricercatori precari si assisterebbe al blocco dell'attività di ricerca e ad una grossa limitazione delle attività didattiche.  Essendo al contempo queste figure le più deboli, le più manovrabili e meno indipendenti, appare facilmente comprensibile quanto agli occhi di chi scrive ogni forma di protesta perderebbe significato se non fosse adottata con la certezza di avere l'appoggio completo di questa massa.   L'esempio più semplice riguarda la decisione dei ricercatori di non svolgere più l'attività didattica gratuita e di "limitarsi" alle competenze per cui si è vinto un concorso e si è stati assunti: svolgere attività di ricerca.   Tale protesta che di fatto rischia di bloccare l'attività didattica del prossimo anno sarebbe nulla e vana qualora i docenti decidessero di chiedere ai propri collaboratori a tempo determinato di subentrare e di diventare docenti a contratto per un semestre, prendendosi carico - con minimo compenso - di questo o quel corso.  
Qualsiasi decisione, pertanto, dovrebbe essere presa - e si auspica che sia così - conoscendo e consultando il parere dei precari della ricerca. 

La posizione degli studenti di ingegneria, il cui comunicato è comparso su facebook qualche giorno fa, deve far riflettere sul come già agli occhi di una parte dell'opinione pubblica, l'università sia diventata un mero diplomificio:  agli studenti non importa la qualità del proprio studio nè del ruolo che hanno le Università nel creare cultura e ricerca ma sono fondamentalmente mossi dalla necessità di portare a casa quanto prima possibile il fatidico pezzo di carta. Docenti e ricercatori hanno sospeso le attività didattiche e gli esami per una settimana e la richiesta degli studenti è stata quella di fare esami in agosto con un comunicato che aveva il sapore del "protestate ma non rallentate la nostra corsa verso la laurea". 

A margine di queste righe che racchiudono in ordine sparso idee e sentimenti di chi scrive in merito allo stato di agitazione nelle università italiane, segnalo che la Federico II in tutte le sue componenti si riunisce in Assemblea il prossimo 19/7/2010 a Monte Sant'Angelo.


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