martedì 5 aprile 2011

Biodiesel di prima generazione: vantaggi e svantaggi dei biocombustibili per motori Diesel

Nonostante gli interventi di ottimizzazione delle singole parti dei motori, dai condotti alla forma della camera di combustione, passando per nuove generazioni di elettroniettori, turbocompressori ed adozione del ricircolo dei gas combusti, abbiano contribuito alla riduzione delle emissioni inquinanti nei motori Diesel per autotrazione di circa l’80% negli ultimi venti anni, le stringenti normative Euro V attualmente in vigore in termini di emissioni di particolato carbonioso del tipo PM10 (meno di 5 milligrammi per chilometro), di NOx (0,2 g/km), monossido di carbonio (0.5 g/km) e idrocarburi incombusti (0,25 g/km di HC e CO) e le future limitazioni previste dall’Euro VI, insieme alle oramai tradizionali problematiche legate all’utilizzo di combustibili legati all’estrazione del petrolio, hanno spinto in passato e stanno spingendo sempre più per il futuro il mondo della ricerca ad investigare l’ampia gamma dei cosiddetti combustibili alternativi.
Il ciclo del biodiesel fonte propelfuels.com
Alla voce combustibili alternativi c’è un’ampia gamma di carburanti che possono essere di origine fossile o rinnovabile. Su tutti si è focalizzata l’attenzione della comunità scientifica e del mondo dell’industria. In particolare gli studi sono concentrati sia sui cosiddetti biodiesel di prima generazione, metilesteri derivati direttamente da oli vegetali, e sui combustibili sintetici, prodotti di un particolare processo di conversione, fra i quali sono annoverati sia i biodiesel di seconda generazione che combustibili liquidi derivati da fonti fossili solide o gassose.
Di grande interesse ed attualità, non privo di sostenitori ma anche di grandi denigratori, è sicuramente il biodiesel. Con questa terminologia ci si riferisce generalmente ad un’intera classe di combustibili derivati da oli vegetali (di colza, di palma, di soia), da oli esausti alimentari o da alcuni tipi di alghe marine attraverso una reazione di transesterificazione il cui scopo principale è eliminare gran parte degli acidi grassi ed evitare elevata viscosità.
Le peculiarità di tali combustibili dipendono fortemente dall’olio vegetale di partenza. In genere vengono utilizzati come biomassa di partenza la soia (a formare SME , metilestere da soia), colza (RME), girasole, palma, cotone. Il contenuto di ossigeno in tutti i casi tende ad essere elevato rispetto al gasolio, il che sfavorisce la combustione, abbassando il potere calorifico inferiore e causando maggiori emissioni in termini di NOx. Il numero di cetano, indice del tempo di ritardo all’accensione, varia non solo in base all’olio di partenza ma anche in base alle condizioni climatiche di coltivazione e degli acidi grassi presenti; in alcuni casi, come nel metilestere derivato da olio di palma, può avere valori di gran lunga superiori a quelli di un normale gasolio.
L’utilizzo di biodiesel puro, non miscelato con gasolio tradizionale, può comportare alcuni problemi al motore e necessita dell’utilizzo di additivi aggiuntivi per ridurre rischi di danneggiamento.
In particolare, avendo valori del punto di intorbidimento e del CFPP superiori rispetto al tradizionale gasolio, possono sorgere problemi, in assenza di additivi, per l’utilizzo a bassa temperatura. Inoltre è alto il rischio di ossidazione e deposito di gomme e cere.
In genere per tali motivi, soprattutto per quanto riguarda il rischio di formazione di depositi e di degradazione dei componenti a causa di impurezze, si preferisce utilizzare delle miscele biodiesel – gasolio invece che biodiesel puro.
Dalla letteratura e dalle verifiche sperimentali su veicoli commerciali è noto il confronto in termini di analisi delle prestazioni fra il combustibile tradizionale e l’omologo “bio”. Non è infatti semplice evidenziare quale combustibile sia maggiormente performante in quanto le differenti caratteristiche chimico-fisiche dei carburanti fa sì che siano diversi i fattori che influenzano in modo anche notevole le prestazioni.
A causa della differenza di densità energetica e quindi di inferiore Potere Calorifico Inferiore, ci si aspetta una riduzione della potenza. In letteratura è stata evidenziata a pieno carico una perdita che varia fra il 3 e il 7% , inferiore rispetto a quanto atteso, a causa del recupero di potenza legato alla differenza di viscosità fra i due combustibili. Fattore rilevante nel confronto fra le prestazioni è sicuramente il numero di cetano, maggiore nei biodiesel, che rende possibile, insieme all’iniezione anticipata causata dai maggiori modulo di comprimibilità e velocità del suono, anticipi di combustione.
Il consumo specifico a parità di rendimento è superiore del 14% a causa del minore potere calorifico inferiore. Di contro il rendimento non varia, anche se in condizioni particolari (carico parziale e per valori del 10% e 20% di miscela) può aumentare a causa del maggiore potere lubrificante posseduto dal biodiesel rispetto al gasolio tradizionale. Per quanto riguarda le emissioni inquinanti, se da una parte la produzione di ossidi di azoto è maggiore a causa dell’anticipo di iniezione che porta a picchi di temperatura maggiore, dall’altra si ha una minore produzione di “soot” .
Salvo rare eccezioni presenti in letteratura, la diminuzione di PM è infatti notevole man mano che si aumenta la percentuale di biodiesel presente in miscela. In base alle valutazioni fatte dall’ US EPA si ha una riduzione prossima al 50% in caso di utilizzo di biodiesel puro, con una diminuzione quasi lineare con l’aumento di % di biodiesel in miscela. Tale riduzione è strettamente legata alla natura stessa del biodiesel: Il maggior contenuto di ossigeno, che garantisce più completa combustione anche nelle zone dove localmente la miscela è ricca ed inoltre contribuisce ad ossidare il soot già presente, il minor rapporto stechiometrico, che riduce il rischio di zone a miscela ricca, l’assenza di composti aromatici che sono fra i principali precursori del particolato, l’anticipo di combustione, che garantisce tempi di residenza maggiori in camera di combustione per l’ossidazione, la differente struttura delle particelle, che comporta velocità di ossidazione superiori.
Per quanto riguarda gli idrocarburi incombusti totali, questi diminuiscono bruscamente, fino al 70% secondo l’ US EPA. Ciò è dovuto ancora una volta alla maggiore presenza di ossigeno nel combustibile che porta ad una più completa combustione, oltre al numero di cetano maggiore che garantisce più tempo per la combustione, essendo ridotto il ritardo di accensione. Ugualmente accade per il monossido di carbonio. Da sottolineare, per quanto riguarda gli inquinanti non regolamentati ma comunque fortemente tossici e dannosi per l’organismo umano,che si riducono notevolemnete gli idrocarburi policiclici aromatici e gli aldeidi.
Come già accennato, al di là degli aspetti negativi riguardanti le problematiche all’interno della camera di combustione e nei condotti, il più grande limite nello sviluppo di un completo sistema di distribuzione e rifornimento basato sui biocombustibili sta proprio nella natura stessa di questi. Il punto di forza, ovvero il fatto che le emissioni di CO2 sono in parte (o in buona parte secondo alcuni) assorbite durante il ciclo di vita delle piante prescelte, siano esse alberi come la palma o piante come la colza o la soia, è al contempo il punto debole principale. L’impatto ambientale e soprattutto sociale delle cosiddette colture energetiche è enorme soprattutto nelle economie dei paesi in via di sviluppo. Essendo più redditizie tali coltivazioni tenderebbero infatti a sostituire quelle basilari per il sostentamento, portando all’aumento del costo delle materie prime agricole e quindi dei prodotti base come il pane e la farina ed alla riduzione delle derrate alimentari disponibili. E’ del resto da sottolineare come il consumo di acqua sia elevato, per ogni litro di biodiesel servono quattromila litri fra irrigazione delle colture e processo chimico.

fonti: diverse tesi di dottorato presenti in rete e facilmente reperibili

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