lunedì 14 marzo 2011

Impianti nucleari di III generazione e reattori EPR: il presente dell'energia nucleare

Chi scrive ha provato a riportare in questo breve post  scritto alcuni mesi or sono lo stato dell'arte e le peculiarità dei reattori  nucleari di III generazione, senza entrare nel merito dell'opportunità di investire o meno nel nucleare oggi.   Pregi e difetti della fissione nucleare, del resto, sono ben noti a tutti.  Le recenti notizie provenienti dal Giappone riguardanti lo stato delle centrali BWR seriamente danneggiate dal sisma devono far riflettere non poco. 

Gran parte degli impianti nucleari attualmente in esercizio appartiene alla cosiddetta II generazione, progettata e sviluppata negli anni '60 e '70.   Di contro buona parte degli impianti attualmente in costruzione appartiene all' evoluzione di tali impianti, nota come III generazione di reattori nucleari, sviluppati negli anni '90.  I reattori Gen III si identificano essenzialmente nelle tre filiere:
  • pressurized water reactor (PWR)  
  • advanced boiling water reactor (ABWR)
  • heavy water reactor (HWR o CANDU nella versione canadese). 
L'interesse del mercato si sta focalizzando sulle versioni definite gen. III+, più recenti ed innovative, quali i reattori EPR (Areva), gli AP1000 (Westinghouse) e IRIS (consorzio guidato da Westinghouse). Se a chiusura del ciclo del combustibile nucleare con riciclo completo degli attinidi (uranio, plutonio e attinidi minori) e la trasmutazione dei prodotti di fissione a vita lunga, rimane prerogativa della IV generazione, va scritto che gli sforzi maggiori riguardanti l'evoluzione degli impianti attualmente in esercizio è stato fatto su più fronti:
Reattore EPR in costruzione (a sinistra) fonte wikipedia
  • Aumento della sicurezza e riduzione del rischio di incidenti con potenziale fusione del nocciolo
  • Standardizzazione dei progetti e riduzione dei costi e tempi di esercizio
  • Aumento della durata di vita dell'impianto, prolungata fino a 60 anni
  • Maggiori tassi di combustione del combustibile e minor volume di rifiuti ad alta radioattività
  • Possibilità di monoriciclo di plutonio ed uranio depleto grazie alla possibilità di utilizzare MOX (ossidi misti di uranio e plutonio) come combustibile
E' chiaro pertanto che lo sforzo innovativo e tecnologico è stato volto più ad incrementare la sicurezza passiva e al potenziamento dei sistemi di sicurezza attiva che  alla ricerca legata ad aspetti termofluidodinamici o di riduzione della produzione di inquinanti dell'impianto per la produzione di energia mediante reazione di fissione nucleare. 
A differenza degli impianti di II generazione, il rendimento degli impianti gen. III hanno un rendimento intorno al 35-37% per gli impianti di range fra i 1100 e 1600 MWe ed al 33% per gli impianti di piccola taglia (100-350 MWe) come l'IRIS, destinati alla produzione combinata di energia elettrica, termica e/o acqua potabile.   Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, la messa in esercizio di un impianto nucleare da 1000 MWe permettere di evitare l'emissione in atmosfera di circa 6.5 milioni di tonnellate di CO2 rispetto ad un impianto a carbone di pari potenza.

Per quanto riguarda i costi, le stime riguardanti le centrali EPR in Europa vanno dai 1875 €/kWe per l'impianto di Olkiluoto (Finlandia) del 2003 ai 2063 €/kWe  - incrementati di recente a oltre 2500 €/kWe - per quello di Flamanville (Francia) del 2007.  I costi di costruzione delle centrali di tipo AP1000 si aggirano invece intorno ai 2200-3000 €/kWe, stando alle valutazioni fatte per gli impianti in costruzione sia in Cina che negli Stati Uniti.
Tenendo conto di tutti i fattori e dell'elevato costo di stoccaggio e smaltimento delle scorie  (7-9 $/MWh) il costo di generazione dell'energia elettrica prodotta in centrali di tipo EPR o AP1000, stando a quanto stimato dai progettisti, saranno compresi rispettivamente tra 33 e 55 €/MWh e tra 33 e 78 $/MWh.

Per quanto riguarda l'energia nucleare, in attesa che la ricerca possa portare a sviluppi interessanti nel campo dei reattori a fusione o dei reattori a fissione di IV generazione, i reattori di III e III+  generazione si candidano ad occupare un ruolo di primaria importanza per i prossimi 10-20 anni. In tal senso si prevede che i reattori di piccola taglia (es. IRIS) possano ritagliarsi significative quote di mercato in paesi emergenti od in via di sviluppo.
E' evidente che lo sviluppo dell'energia nucleare è limitato da diversi fattori:
  • la gestione delle scorie nucleari
  • l'alto costo di capitale ed il rischio di investimento
  • l'accettabilità sociale ed i rischi connessi alla proliferazione nucleare
Se da un punto di vista meramente economico, il costo sempre maggiore dei combustibili tradizionali di origine fossile fa sì che impianti del genere possano diventare economicamente competitivi, se da un punto di vista ambientale è indubbio che l'utilizzo di reattori nucleari possa portare ad una drastica riduzione delle emissioni di CO2 ed inquinanti in atmosfera,  è altresì evidente che i problemi legati alla sicurezza delle centrali rappresentano il più grosso scoglio anche per quanto riguarda il convincere l'opinione pubblica a convivere con un impianto nucleare, dato che il ricordo dell'orrore del disastro di Chernobyl è ancora giustamente sotto gli occhi di tutti.    Appurato che gran parte degli sforzi in termini di investimenti e ricerca sono stati fatti per aumentare fino a livelli di ridondanza plurima i sistemi di sicurezza passiva ed attiva, rimane il problema legato alla produzione di energia elettrica attraverso la fissione nucleare è rappresentato dalla gestione delle scorie di materiale altamente radioattivo.  In assenza di studi veramente innovativi in tal senso, sarà difficile immaginare un reale incremento dell'energia prodotta da fissione nucleare in ambito mondiale.

Gli impianti EPR

Il reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata (EPR) è del tipo PWR da 1600 MWe di potenza netta  sviluppato da Areva, società franco-tedesca originata da Framatome e Siemens. Si tratta di una derivazione dei progetti PWR N4 (francese) e Konvoi (tedesco), con una riduzione dei costi pari almeno al 10% rispetto agli impianti di precedente generazione.  Peculiarità di questa classe di impianti è di essere stata progettata, a differenza delle centrali nucleari di passata generazione, per funzionare a carico variabile e non a punto fisso e per elevati burn-up del combustibile (circa 60 MWd/kg contro i 45-50 MWd/kg dei PWR Gen II) con efficienza netta prossima al 37%, ottenuta anche attraverso un gruppo turbo-alternatore innovativo che permette un guadagno di 70 MWe.

Per quanto riguarda la sicurezza dell'impianto, questa si basa sulla ridondanza quadrupla dei sistemi di intervento attivi e sul miglioramento dei sistemi di contenimento realizzati in cemento armato a doppia parete di circa   di spessore, con liner interno di rivestimento in acciaio. La probabilità che avvenga un incidente atomico grave con conseguente fusione del nocciolo è ridotta a valori inferiori a 10e-5 eventi/reattore anno e sono ridotte e confinate le conseguenze collegate ad incidenti gravi anche grazie al sistema di recupero e raffreddamento del nocciolo fuso.   Su wikipedia è ben descritto in pochi punti sintetici lo sforzo innovativo in tal senso, anche se sono diversi i dubbi mossi da diverse riviste scientifiche ed enti contrari alla proliferazione del nucleare:
  • quattro sistemi indipendenti di refrigerazione d'emergenza, ognuno capace da solo di refrigerare il nocciolo del reattore dopo il suo spegnimento;
  • un contenimento metallico attorno al reattore, a tenuta per le eventuali fuoriuscite di materiale radioattivo in caso di incidente con rottura del circuito primario;
  • un contenitore (core catcher) ed un'area di raffreddamento passivo del materiale fuso, nell'improbabile evento che il nocciolo di combustibile nucleare radioattivo fuso possa fuoriuscire dal recipiente in pressione (vedere edificio di contenimento);
  • doppia parete esterna in calcestruzzo armato, con uno spessore totale di 2,6 metri, progettata per resistere all'impatto diretto di un  aereo di linea di grosse dimensioni.
Le informazioni sopra riportate sono state dedotte da articoli e report tecnici presenti in rete, in particolar modo su siti direttamente riconducibili all'ENEA. 

    martedì 8 marzo 2011

    I veicoli ibridi: caratteristiche e prospettive

    Da sempre si è data particolare attenzione in ambito scientifico ancor prima che industriale allo studio di veicoli che potessero utilizzare dei motori differenti da quelli tradizionalmente utilizzati. Sin dagli albori della motorizzazione su quattro ruote dell’umanità, accanto ai prototipi di Motori Otto o Diesel, venivano ad esempio presentate e realizzate carrozze con motori elettrici.
    Se infatti fu dotato di motore elettrico il primo veicolo in grado di sfondare il muro dei 100 km/h nel lontanissimo 1899, nel giro di pochi decenni furono i motori ad accensione comandata ed a accensione per compressione, grazie a vari fattori fra cui sicuramente vanno annoverati l’affidabilità e l’autonomia, a diventare protagonisti del mondo dell’auto, relegando gli altri motori a prototipi ed esperimenti.
    L'auto ibrida di Ferdinand Porsche - 1898 - fonte
    Appurato che nella stragrande maggioranza dei casi i veicoli elettrici non comportano una reale riduzione di emissioni di CO2, a causa del fatto che  gran parte dell’energia elettrica è prodotta in centrali termoelettriche che bruciano combustibili fossili, a parte paesi come la Francia, la scarsa autonomia e la bassa densità energetica delle batterie rispetto ai combustibili liquidi hanno finora reso impossibile a tali veicoli di essere competitivi nel mercato dell’automobile.
    Negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede, invece, l’adozione di una scelta intermedia: i cosiddetti veicoli ibridi. Tale classe di veicoli, che montano insieme sia un motore termico che uno elettrico, a fronte di complessità, peso e costi maggiori, garantisce una riduzione dei consumi e di emissioni che in alcuni casi, in base agli schemi adottati, può superare il 30-40%.
    Anche in questo caso, come spesso accade, l’idea di partenza è tutt’altro che innovativa, essendo stato presentato un prototipo di veicolo ibrido già nel lontano 1898 da Ferdinand Porsche ed essendo state vendute auto simili nei primi anni del 1900.
    Negli ultimi anni, a fronte di una presenza nel mondo dell’industria dell’automobile ancora minima (fra le auto commercializzate la Toyota Prius ibrida è una vera e propria mosca bianca anche sono diverse le case produttrici che cominciano a prevedere motorizzazioni ibride nel proprio portafoglio motoristico da presentare ai clienti), c’è stato grande interesse da parte della comunità scientifica su questo tipo di veicoli individuati non a torto come il giusto compromesso nel breve periodo per ottenere delle automobili che possano da una parte rispettare le normative vigenti in termini di emissioni inquinanti e circolare anche nelle ztl cittadine chiuse ai veicoli inquinanti, dall’altra fornire quel giusto mix di prestazioni, autonomia, affidabilità e costi richiesti dal cliente medio che si appresta ad acquistare un’automobile.
    Prima di entrare nel dettaglio sullo stato dell’arte sui veicoli ibridi, sulle scelte e proposte della comunità scientifica internazionale, va sottolineato che una caratteristica peculiare di tali veicoli è quella di recuperare l’energia che andrebbe dissipata in frenata sfruttando la caratteristica dei motori elettrici di poter al contempo funzionare in generazione ed in trazione: si tende pertanto nei rallentamenti ed in frenata di sfruttare la capacità di frenare con il motore elettrico, generando energia invece di dissiparla.
    I veicoli ibridi possono essere classificati in diversi modi, in base al dimensionamento fra i diversi motori, in base alla tipologia di accumulatore scelto per immagazzinare l’energia elettrica (batterie, superconduttori), in base allo schema costruttivo adottato (serie, parallelo). 
    Schema veicolo ibrido serie - fonte
    Lo schema impiantisco del motore “ibrido serie” prevede che il motore termico non sia direttamente collegato alle ruote ma che generi corrente per alimentare il motore elettrico che poi trasforma l’energia in moto. L’energia in eccesso serve per ricaricare le batterie. In tal modo in condizioni di massimo carico l’energia viene attinta sia dal motore termico che dalle batterie. Va sottolineato che rientrano in questa categoria di ibridi anche i veicoli che utilizzano celle a combustibile, che vanno a sostituire nel layout il motore termico. L’indubbio vantaggio dell’ibrido serie è sicuramente il disaccoppiamento fra l’asse meccanico del motore endotermico e le ruote. Ciò consente di ottimizzare la gestione del motore primo in relazione alle richieste di potenza, essendo possibile lavorare praticamente a punto fisso in condizioni di massimo rendimento. Altro grande vantaggio è la semplificazione della trasmissione, venendo meno la necessità di avere sia frizione che cambio. Infine, fra i vantaggi, va annoverata la possibilità, allorquando le limitazioni di traffico lo impongano, di funzionare con autonomia di alcuni chilometri in condizioni di funzionamento “puramente” elettrico. Fra gli svantaggi va sicuramente evidenziato il problema dell’ingombro, in quanto il dimensionamento del generatore elettrico è per la piena potenza e le batterie devono essere tali da garantire autonomia dell’ordine della decina di chilometri. La conversione di energia da meccanica ad elettrica comporta ulteriori perdite che causano riduzioni di prestazioni soprattutto in caso di funzionamento a velocità costante e sostenuta. 
    Schema veicolo ibrido parallelo - fonte

    La seconda soluzione impiantistica che riguarda i motori ibridi è l’ibrido parallelo. In questo caso entrambi i motori possono fornire contemporaneamente potenza meccanica. La parte elettrica non è dimensionata per fornire piena potenza. Essendo indipendenti motore termico ed elettrico, un veicolo ibrido parallelo può sia funzionare in configurazione elettrico che puramente alimentato da combustibile, oltre che ovviamente nella configurazione mista ibrida. A differenza dell’ibrido serie, in questo caso il sistema di trasmissione risulta essere alquanto complesso, a causa della presenza di numerosi organi che da una parte impongono dei vincoli costruttivi e dall’altra sono causa di perdite energetiche per dissipazione.
    Per quanto riguarda il funzionamento del motore termico, il legame che intercorre fra velocità delle ruote e punto di lavoro del motore non è completamente libero e pertanto non è possibile lavorare in condizioni di funzionamento ottimale come nel caso passato, a meno che, come mostrato in diversi studi presenti in letteratura, non si vogliano utilizzare complessi rotismi epicicloidali. 
    motore ibrido Toyota - fonte gian.net
     Dall’analisi di quanto sopra scritto e dalle valutazioni deducibili sia dalla letteratura che dall’analisi dei comportamenti de veicoli ibridi già disponibili per la messa su strada, appaiono evidenti le differenze fra le due diverse schematizzazioni dell’impianto. Se sicuramente gli ibridi serie risultano essere maggiormente flessibili e senza organi di trasmissione, gli ibridi parallelo sono quelli ad essere al momento più adatti alla circolazione urbana ed extraurbana, anche in condizioni di elevata potenza per lunghi tratti. In entrambe le ipotesi esiste la possibilità di funzionare in sola alimentazione elettrica: a differenza però dell’ibrido serie, nel caso dell’ibrido parallelo l’autonomia è ridotta ed i rendimenti peggiori.
    I costi dei veicoli ibridi sono in linea con le vetture di fascia medio-alta. Per quanto riguarda i rendimenti, gli incrementi di efficienza sono interessanti.
    Va sottolineato che al momento i veicoli prodotti in serie sono degli ibridi “misti” in quanto presentano peculiarità dell’ibrido serie, come il doppio motore elettrico e il nodo elettrico, sia dell’ibrido parallelo, come il nodo meccanico per collegare motore termico a elettrico. La Toyota Prius, che realizza l'accoppiamento meccanico tra il motore termico, le due macchine elettriche e l'albero di trasmissione finale attraverso la combinazione di un rotismo epicicloidale ed un riduttore, ne è un esempio.
    Oltre che ai necessari sistemi di controllo il cui scopo sia quello di garantire in qualsiasi condizione di funzionamento le migliori prestazioni possibili per entrambi i motori, buona parte dell’attenzione della comunità scientifica internazionale è rivolta allo studio di sistemi per aumentare l’autonomia del veicolo in condizioni di funzionamento puramente elettrico.
    Allo stato attuale, per quanto riguarda gli ibridi parallelo e i misti, l’utilizzo del motore elettrico è limitato a fornire surplus di carico in particolari condizioni, come in accelerazione o a pieno carico oppure a funzionare per pochi chilometri in condizioni puro elettrico all’interno di zone a traffico limitato chiuse ai veicoli che emettono sostanze inquinanti. Ottimizzare il sistema di accumulo dell’energia elettrica, individuando pacchi di batterie che siano al contempo a maggiore densità energetica e che si scarichino più lentamente deve essere il punto focale principale degli studi futuri.
    In tal senso va evidenziato che l’attenzione della comunità scientifica internazionale èrivolta soprattutto sulle batterie . Fra queste risultano particolarmente indicate le batterie agli ioni di litio (Li-ion), in quanto sono accumulatori potenti e leggeri, anche se relativametne costosi. All’anodo vi sono atomi di litio immersi in uno strato di grafite. Al catodo dei Sali litio (LiMn2O4). L’elettrolita è una soluzione di perclorato di litio e etilencarbonato, la differenza di potenziale ai poli è di 3.7 V. A differenza delle batterie di precedente sviluppo è assente l’effetto memoria ed è elevata l’energia specifica.
    Sotto certi aspetti migliori ma più costosi sono gli accumulatori basati sui polimeri di litio. Essi necessitano di un sistema di controllo elemento per elemento e l’elettrolita non è in un solvente organico ma in un composto polimerico solido (poliacrilonitrile). Sono le batterie meno pericolose in quanto non risultano essere infiammabili ed hanno una differenza di potenziale di 4 V e energia specifica maggiore rispetto alle batterie “Li-ion”. Un grande pregio, soprattutto per quanto riguarda le applicazioni in questa sede riportate, rigaurdano gli ingombri. A differenza delle Li-ion, che sono contenute in minuscoli contenitori rigidi di metallo, queste hanno una struttura a fogli flessibili che permette un impacchettamento più denso con una maggiore densità energetica e potenze specifiche molto elevate.
    Sempre basati sugli accumulatori Li-ion, si segnalano infine le batterie del tipo Litio-Ossidi di ferro-fosfato, 
    che possono contare su buone prestazioni elettrochimiche, alta capacità specifica e un numero di cicli vita prossimo ai 2000. 
    fra le altre tipologie di batterie utilizzabili, sono di sicuro interesse le cosiddette “ZEBRA” (acronimo per Zero Emission Battery Research Activities).    Tali batterie, al Nichel- cloruro di sodio (Ni-NaCl),  hanno il difetto di dover lavorare a temperature superiori ai 245°C, il che riduce l'efficienza, ma il pregio di avere prestazioni elevate ed una densità energetica elevata.
    Al momento sono ancora oggetto di studio soprattutto perché la durata è davvero minima: si auto scaricano in meno di 10 giorni.

    Per approfondimenti si suggerisce di utilizzare le parole chiave "veicoli ibridi" su http://scholar.google.it , facendo attenzione a individuare quegli articoli ed interventi che effettivamente si riferiscono ai veicoli ibridi, in quanto spesso come motore ibrido si intende erroneamente la possibilità di utilizzare due combustibili differenti.

    mercoledì 2 marzo 2011

    Bando per due Co.co.co. in ambito di ricerca ing. meccanica, materiali, chimica (Seconda Univ. Napoli)

    Ricevo e volentieri pubblico un bando di concorso per giovani ingegneri  per due incarichi di collaborazione continuata e continuativa presso il  Dipartimento di Cultura del Progetto sito in Monastero di San Lorenzo ad Septimum, Via San Lorenzo, Aversa (Seconda Università di Napoli, Facoltà di Architettura ).
    Il bando è indirizzato a giovani (entro i 30 anni) laureati in Ingegneria meccanica e/o dei materiali e/o chimica e la ricerca ha come obiettivo lo “studio e la caratterizzazione di nuovi materiali e modellazione agli elementi finiti di sistemi biomimetici” (ING-IND/22) nell'ambito del progetto FIRB Futuro in Ricerca "“Biomeccanica e biomimetica di scaffolds periimplantari in materiale ibrido ceramo-polimerico”.  La durata dei contratti sarà di 36 mesi e l'importo lordo di 20.000 euro annui.   
    Per qualsiasi informazione ulteriore invito a leggere per bene il bando in allegato. 
    NB:  I dottori di ricerca NON possono partecipare al bando (tale caratteristica pare sia richiesta dal Ministero per favorire l'ingresso di neolaureati).

    Bando per n.2 Co.co.co.  in ambito di progetto FIRB 
    Durata: 36 mesi  - importo: 20.000 euro lordi annui
    Requisiti: laurea in ingegneria meccanica e/o materiali e/o chimica 
    Tema: "studio e caratterizzazione di nuovi materiali e modellazione agli elementi finiti di sistemi biomeccanici"
    Settore disciplinare ING-IND 22
    Scadenza: 16 marzo 2011
    Bando integrale: sul sito di unina2

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